Davvero tutto sta andando storto?

10 cose sbagliate (e fraintese) della società di oggi

C’era una volta un tempo in cui si stava meglio.

O almeno così ci piace pensare.

Meno ansia, meno tecnologia, più comunità.

Oggi invece tutto sembra rotto, accelerato, disumano.

Ma è davvero così?

O stiamo solo guardando il mondo con nuovi occhi, più lucidi, più informati… e forse anche più spaventati?

Ci sono cose che non vanno, senza dubbio. Ma ce ne sono altre che non sono mai andate, solo che non si vedevano.

E poi ci sono i falsi miti, le nostalgie selettive, le paure costruite.

Proviamo a fare ordine. E riflettere.

1. Non siamo più violenti. Ma vediamo tutta la violenza.

I dati Eurostat sono chiari: gli omicidi in Europa sono in calo costante da trent’anni. In Italia, ad esempio, si è passati da oltre 1.500 all’anno negli anni ‘90 a meno di 300 oggi.

Ma l’esposizione mediatica — soprattutto tramite social, TV e notifiche continue — alimenta la percezione di insicurezza.

Non è che ci siano più crimini. È che vediamo ogni singolo crimine. E questo amplifica la paura.

E poi, oggi emergono violenze che prima erano normalizzate: maltrattamenti familiari, abusi psicologici, molestie sul lavoro.

Non è un peggioramento. È una presa di coscienza collettiva.

📌 Fonte: Eurostat – Intentional Homicides in Europe (2023)

2. Parlare di ansia non è una debolezza. È un segno di civiltà.

Sì, l’ansia e la depressione stanno aumentando. L’OMS lo conferma: in Europa i disturbi mentali sono la seconda causa di disabilità.

Ma parte dell’aumento è legato al fatto che oggi possiamo parlarne.

Un tempo si soffriva in silenzio. O si veniva etichettati come “deboli”, “nevrotici”, “da curare”.

Oggi — grazie anche ai social, alle serie TV, ai contenuti divulgativi — la salute mentale è uscita dal tabù.

Il disagio c’è, ed è reale. Ma non vederlo non lo rendeva meno grave.

📌 Fonte: WHO Europe, Mental Health Data 2022

3. I giovani non hanno meno valori. Ne hanno di diversi.

Li si accusa spesso di essere fragili, disimpegnati, narcisisti.

Ma se guardiamo i dati, vediamo una generazione più attenta all’ambiente, all’inclusività, alla salute mentale, molto più di quelle precedenti.

Non è apatia, è trasformazione dei valori.

Rifiutano carriere “da sacrificio”, relazioni opprimenti, modelli di successo fondati solo sul denaro.

E non perché siano viziati. Ma perché non ci credono più.

📌 Fonte: Ipsos – “Youth & Values in Europe” (2023)

4. Non siamo ignoranti. Siamo confusi.

Mai nella storia abbiamo avuto così tanto accesso alla conoscenza.

Eppure, spesso non sappiamo cosa credere.

L’analfabetismo funzionale in Italia resta elevato (circa il 28% secondo OCSE), ma il vero problema è l’infodemia: troppe notizie, troppa velocità, nessun filtro.

Il web ci dà tutto. Ma non ci insegna a distinguere. E tra fake news, influencer “esperti” e intelligenza artificiale generativa, la verità diventa liquida.

📌 Fonte: OCSE PIAAC Survey, 2023 – Literacy in Europe

5. La tecnologia ha accelerato tutto. Ma l’umano è rimasto indietro.

Siamo sempre online, sempre connessi, sempre disponibili.

Ma non siamo fatti per vivere in perenne notifica.

Dormiamo peggio, siamo meno presenti, fatichiamo a stare in silenzio.

La nostra mente — biologicamente identica a quella di 5.000 anni fa — non regge i ritmi digitali.

Il burnout è esploso anche tra i giovanissimi.

Eppure, lo smartphone è l’ultima cosa che tocchiamo prima di dormire e la prima al risveglio.

📌 Fonte: European Sleep Research Society – “Digital Life & Sleep”, 2023

6. Lavoriamo troppo. E ci sentiamo inutili.

Non è solo una questione di orari. È la qualità del lavoro che è cambiata.

La gig economy ha portato precarietà, instabilità, frammentazione.

E mentre molte professioni diventano più “virtuali”, perdiamo il senso tangibile dell’impatto.

Lavoriamo tanto, ma senza sentirci parte di qualcosa. E questo logora.

Anche le aziende ne parlano: il fenomeno del “quiet quitting” nasce da lì.

📌 Fonte: Gallup Workplace Report 2023 – “Global Engagement Decline”

7. Consumare è diventato il nostro modo di esistere.

Ci sentiamo vivi quando compriamo, cambiamo, aggiorniamo.

Ma è davvero libertà quella che ci spinge a ordinare compulsivamente online o rinnovare il telefono ogni anno?

L’identità si è spostata dal “chi sei” al “cosa hai”.

Eppure, mai come oggi si parla anche di decluttering, minimalismo, downshifting.

Forse qualcosa sta cambiando. Ma la pressione resta altissima.

📌 Fonte: UN Environment Programme – “Consumerism and Environment”, 2022

8. L’altro è ancora un nemico. Solo più sottile.

Viviamo in un’epoca che celebra l’inclusione.

Ma nei fatti, la diffidenza verso ciò che è diverso è ancora fortissima.

Migranti, LGBTQ+, neurodivergenze, diversità culturali:

il pregiudizio si è fatto più sottile, più “educato”, ma non meno presente.

I social polarizzano, i media semplificano, le paure si alimentano.

E l’altro diventa un problema, non una possibilità.

📌 Fonte: European Social Survey 2022 – “Attitudes toward diversity”

9. Stiamo perdendo i luoghi. E con essi, il senso di comunità.

La piazza, il bar, il circolo, la biblioteca…

Erano spazi dove ci si incontrava anche senza volerlo.

Oggi il digitale ha sostituito molti di questi momenti.

Ma le connessioni online sono effimere, algoritmiche, autoreferenziali.

La solitudine aumenta. E non perché siamo soli, ma perché siamo disgregati.

Senza luoghi comuni, restano solo bolle personali.

📌 Fonte: ISTAT – “Condizioni di vita e solitudine”, 2023

10. Sappiamo indignarci. Ma non più confrontarci.

Tweet, stories, commenti.

Siamo bravissimi a prendere posizione, a gridare “vergogna!”, a cancellare.

Ma molto meno bravi a stare in un conflitto vero.

Il confronto richiede tempo, pazienza, umiltà.

E oggi, tutto ci spinge verso reazioni rapide e binarie.

Il risultato? Nessuno cambia davvero idea. Tutti si chiudono nei propri castelli.

📌 Fonte: The Conversation / Harvard Kennedy School – “Why Online Debates Fail”, 2022

Conclusione

La società di oggi è piena di contraddizioni, sì.

Ma molte delle cose che ci sembrano nuove… sono solo emerse.

Altre, invece, sono davvero pericolose. Ma non inevitabili.

Conoscere queste dinamiche è il primo passo per non subirle.

Per non cadere nella nostalgia sterile né nel cinismo rassegnato.

Torna in alto